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Intervista a Franco Impellizzeri. Come evitare le bufale sull’allenamento!

Published by redazione
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Nella foto Franco Impellizzeri, ospite al nostro corso "Metodologia e periodizzazione dell'allenamento della forza in sprinter e saltatori d'élite", tenutosi a Saronno nel marzo 2018.

Franco Impellizzeri è un amico de ilCoach ed è attualmente professore di Sport and Exercise Science and Medicine alla facoltà di Health della University of Technology Sydney e fa parte della Human Performance Resource di UTS dove si occupa di ricerca nello sport e nella attività fisica e insegna fisiologia dell’esercizio applicata e metodi di ricerca per dottorandi ed honours.

Franco è arrivato in Australia dopo aver maturato un brillante curriculum, in Italia e all’estero, sia nell’ambito accademico che nello sport di alto livello.

Tra le sue esperienze principali ricordiamo, in ambito sportivo quella di tecnico e responsabile ricerca del Centro Ricerca per lo sport della Mapei, in ambito clinico quella al dipartimento di ricerca della Schulthess klinik a Zurigo.

Franco è diplomato Isef e laureato in Scienze Motorie e vanta un Dottorato acquisito a Trondheim in Norvegia alla NTNU oltre a diversi corsi di statistica seguiti in Svizzera e nel Regno Unito.

Le sue esperienze sportive nascono ovviamente con lo sport praticato con dei trascorsi in atletica leggera e nel Tae Kwon Do.

È preparatore di vari sport. La sua ultima esperienza è stata con la nazionale di Scherma (Spada) Svizzera, in preparazione alle Olimpiadi di Rio de Janeiro.

Franco è molto attivo sui social e su Facebook in particolare, dove ha lanciato una vera e propria campagna contro i Guru improvvisati dell’allenamento sportivo.

Intervista a Franco Impellizzeri

La prima domanda, anche per noi che con Ilcoach utilizziamo i social come mezzo principale di comunicazione, parte proprio da qua.

Franco anche nel mondo dello sport e della preparazione fisica si sta verificando il cosiddetto fenomeno delle "bufale" e della disinformazione pseudo scientifica. Certe metodologie o, peggio ancora, certi “santoni” dello sport proliferano con ricette magiche e soluzioni a portata di click. Talvolta, anche cercando di adottare un pensiero critico, si fatica a discernere tra quello che può essere uno spunto interessante e quella che è una cavolata. Tu come credi che possa essere utilizzata la rete ed il social in maniera utile?

In realtà penso che sia un problema che avevamo anche in passato solo che con i social media oggi è tutto amplificato. C’è solo un’arma per combattere o difendersi da questa deriva dell’informazione ed è il cervello. Occorre innanzitutto avere un approccio scettico che non è il non credere a nulla ma l’analizzare le basi e la logica dietro certe affermazioni.

Oggi anche gli studi sono diventati di dominio pubblico e alcuni guru vanno a pescare gli studi che più supportano le proprie idee ignorando, in buonafede o malafede, le evidenze contrarie o senza rendersi conto della debolezza degli studi stessi a cui fanno riferimento. Come in tutto ci sono ricerche buone e meno buone, così come limitazioni che vanno considerate. I social, tuttavia, sono uno strumento utile per capire le esperienze degli altri ed è per questo che io, ad esempio, ho iniziato ad usarli. Ma occorre avere chiara questa distinzione: esperienze verso evidenze. Spesso esperienze vengono rivendute come certezze e come riferimenti a cui tutti devono adeguarsi. Invito sempre a non sposare un metodo ma usare quello che può servire in una data situazione o come spunto per variare il nostro allenamento. Spesso il lavoro dell’allenatore è un continuo “prove ed errori”, e non ci sono alternative. Devo per forza provare sul mio atleta e soprattutto devo spesso adattarmi alle situazioni in cui lavoro che vuol dire ad esempio tempo a disposizione e risorse.

Quindi per rispondere alla tua domanda per usare i social in modo produttivo suggerisco di usarli come fonte di altre esperienze e non di conoscenze propriamente dette. Oltre ad un occhio critico e soprattutto chiedendosi se chi fa certe affermazioni abbia dei vantaggi economici o “psicologici” tipo per appagare il proprio ego. Inoltre bisogna sempre dubitare di chi sembra aver capito tutto.

Certe “stupidaggini” purtroppo proliferano e vengono ri-condivise non solo sulla pagina della persona comune e della “signora Maria” ma anche sui profili di “dottori” delle scienze motorie e professionisti dello sport. Credi che oggi la Facoltà di Scienze Motorie in Italia sia adeguata per fornire le capacità di pensiero critico scientifico ad un giovane studente?

No non credo sia adeguata; ma non perché sia un fallimento delle Scienze Motorie ma piuttosto perché da un lato riflette un problema della società e da un altro riflette un sistema educativo ancora molto incentrato sulle nozioni e meno sulle capacità di elaborazione. E questo è generalizzabile al sistema formativo in generale oltre che essere un problema noto. Le nozioni sono importanti ma il pensiero critico lo è forse di più o comunque un’arma in più per usare le nozioni in modo appropriato. Quello che molti non capiscono è che in ogni professione quella che viene chiamata formazione continua è la vera differenza tra un professionista ed un altro. Che va di pari passo con l’esperienza. Migliorare vuol dire continuare a studiare e documentarsi, e accumulare esperienza. Uno dei problemi è che una volta che si ha il pezzo di carta in mano si pensa di essere arrivati. Se uno la pensa così è veramente arrivato, ma perché non è nemmeno partito. In ambito formativo credo comunque che si ossa e debba fare di più in questo senso.

In ogni professione quella che viene chiamata formazione continua è la vera differenza tra un professionista ed un altro. Che va di pari passo con l’esperienza.

Noi siamo dell’idea che lo studio senza la pratica sul campo e viceversa non portino lontano. Quanto conta secondo te per un allenatore continuare a formarsi, ad allenarsi e ad allenare?

Ho già in parte fatto capire sopra come la penso. Sono d’accordo. Ai miei studenti di ricerca dico sempre di trascorrere tempo con allenatori, di allenarsi e se possibile allenare se vogliono fare buona ricerca applicata nello sport. Si può fare ricerca in un ambito in cui non abbiamo esperienza diretta. Come? Coinvolgendo chi questa esperienza ce l’ha! Ma è così per tutte le professioni. Non è che un chirurgo va ad operare il suo primo paziente dopo averlo studiato sui libri. C’è un percorso atto ad accumulare esperienza. Chiaramente io sono influenzato dal mio percorso essendomi mosso sulla ricerca per trovare informazioni che mi servivano per capire come meglio costruire programmi di allenamento. Ed essendomi allenato per anni tutti i giorni. Questo ha influenzato molto il mio modo di ragionare e fare ricerca. A volte però mi sembra che perfino gli allenatori si stiano perdendo nei numeri e tecnologie. Mi fa strano chiedere ad allenatori che mi spiegano le loro teorie: si ma alla fine vanno più forte o no? Dovrebbe essere il contrario visto che sono i ricercatori notoriamente quelli accusati di essere troppo teorici. Questa è l’altra deriva che vedo. Allenatori che si trasformano in una sorta di analisti che perdono di vista il loro lavoro principale. Che mostrano ai convegni 20 slide di curve forza-velocità, dove ognuno vede quello che vuole, e non mi mostrano ad esempio le progressioni nella performance o dettagli sull’allenamento.

Ai miei studenti di ricerca dico sempre di trascorrere tempo con allenatori, di allenarsi e se possibile allenare se vogliono fare buona ricerca applicata nello sport.

L’atletica rispetto ad altri sport ha il vantaggio della oggettività e della misurabilità delle prestazioni. Talvolta però anche il semplice misurare e valutare cose apparentemente semplici, può  nascondere delle possibilità di fraintendimenti ed errori. Quanto credi che sia importante per un tecnico saper collezionare e saper ragionare su dei dati anche dal punto di vista statistico?

Gli allenatori hanno sempre misurato ed in effetti qua potrebbe esserci un problema, ovvero quello di non conoscere i limiti e la teoria delle misurazioni. Ma se si considerano questi limiti le informazioni che si possono avere in atletica sull’allenamento tramite un semplice cronometro sono oro. L’argomento non è in realtà così complesso. O meglio si possono dare indicazioni di massima su come misurare o cosa considerare nell’interpretazione dei dati incluso nozioni di base di statistica ma anche semplicemente ricordare di valutare andamenti e non singole misure. Credo che la formazione dei tecnici oggi debba fornire anche questo. Però chi si occupa di formazione deve spendere tempo, molto, nel capire come dare le informazioni in modo comprensivo e semplice e non, come a volte succede, avere docenti il cui unico scopo è far vedere quanto sono bravi o conoscono la materia. O l’amico dell’amico che non necessariamente è sempre la persona giusta. I docenti che si occupano di formazione devono trovare il modo per far passare dei messaggi. Ed i messaggi devono esser controllati e standardizzati su tutto il territorio. Certamente le federazioni o altri enti non possono pretendere di dare qualche euro all’ora e che uno investa mesi a creare percorsi e strategie educative.

Ci vuole coordinamento, progettualità e investimenti (che può voler anche dire usare semplicemente i budget meglio).

L’altra faccia di questa indigestione di informazioni sulla rete, è quella di inondare concetti (talvolta anche semplici) di fiumi di pagine di ricerca scientifica. A nostro parere le “battaglie” sulle bacheche, combattute a suon di re post di pubblicazioni, non sono meno ridicole della impostazione dell’allenamento magico pre vacanze in spiaggia, delle riviste da “bar sport.” Qual è a tal proposito il metodo critico che segui per valutare un’informazione che trovi sulla rete?

Chiaramente io sono avvantaggiato perché parte della mia professione è anche recuperare le informazioni. Recentemente abbiamo pubblicato un articolo per spiegare anche agli sport scientist e staff medici come creare raccomandazioni in base alla qualità degli studi ed evidenze a disposizione in letteratura. Purtroppo districarsi tra le miriadi di pubblicazioni e post che riportano studi è difficile. La prima cosa che occorre capire è se la fonte sia attendibile, ovvero se chi posta qualcosa non lo faccia per spingere un proprio metodo o prodotto (conflitti di interessi). Poi, se si ha tempo e si è in grado, controllare se in letteratura non ci siano informazioni che vanno in direzione opposta. Se si tratta di informazioni scientifiche (tipo nutrizione, infortuni, etc.) vedere se le posizioni di chi posta lo studio o lo studio stesso siano in linea o no con le posizioni ufficiali. Non perché una posizione ufficiale sia per forza giusta, ma perché intanto si capisce se quello che uno vende come assodato o scontato in realtà non sia una visione diversa e magari non condivisa dalla comunità scientifica. E soprattutto come abbiamo accennato tutti e due sopra non esistono ricetta magiche.

Qui l'articolo citato sopra:

Ardern CL, Dupont G, Impellizzeri FM, O'Driscoll G, Reurink G, Lewin C, McCall A. Unravelling confusion in sports medicine and sports science practice: a systematic approach to using the best of research and practice-based evidence to  make a quality decision. Br J Sports Med. 2019 Jan;53(1):50-56.

L’Australia è il sogno di tanti giovani e di tanti giovani allenatori e, se si vive in una città bella come Sydney, magari vicino all’acqua, probabilmente è più facile dare dei giudizi positivo sul suo sistema sportivo. Franco, cercando di essere più oggettivo possibile, puoi farci una breve panoramica delle differenze che hai sperimentato rispetto all’Italia?

Guarda l’Australia ha una grossa differenza rispetto all’Italia ovvero lo sport viene vissuto di più come divertimento e preso meno “seriamente”.  Questo crea ad esempio negli Italiani che lavorano qua in ambito sportivo diverse reazioni, tipo ritenere l’Australia indietro rispetto all’Italia perché tutto è vissuto più a livello amatoriale. L’offerta è molto diversa e molti ragazzini fanno più sport contemporaneamente. Chiaramente come dici la mia visione è falsata dalla prospettiva vivendo realtà di alto livello con cui sono coinvolto come università. Ma ho anche due figli che fanno sport a livello amatoriale e vedo ad esempio che fanno molto sport a scuola, anche non strutturato. Tipo giocare all’intervallo anche con i professori (parlo di high school). Mi piace il sistema dei trial dove chiunque può partecipare per essere selezionato per le squadre rappresentative. Mio figlio ha appena partecipato a competizioni studentesche e dalla 3° divisione nel football Australiano l’hanno spostato loro alla prima senza chiederlo. Molte academy sono private nel senso che i genitori pagano per i figli e neanche poco. Vivo la realtà di academy di alto livello quindi ho chiaramente una opinione positiva. Non conosco onestamente altre situazioni di base. Lo sport di più alto livello ha strutture, almeno per alcuni sport, molto avanzate e supporti/strutture in ogni Stato che ha dei centri con sport scientiste analisti che collaborano con gli allenatori (tipo New South Wales Institute of Sport dove vivo). E’ comunque un ambiente competitivo (l’alto livello) per chi ci vuole lavorarci e servono, ad esempio per il professionismo, certificazioni che non sempre per noi di altri paesi sono facili da avere. Quindi anche se è una meta ambita trovare lavoro in questo ambito non è facile. Poi noi vediamo sempre le cose dal nostro punto di vista e se i metodi non sono simili ai nostri tendiamo a ritenerli meno validi. Alla fine parlano i risultati e siccome non sono male proprio sbagliati non credo lo siano.

C’è qualcosa che l’Italia potrebbe importare?

Onestamente le cose che importerei sono appunto il vivere lo sport in modo più rilassato e meno competitivo a livello giovanile. Io ho esperienze ottime e i miei figli non hanno mai sentito pressioni sui risultati o sulle performance ne da parte della società ne dei genitori ad esempio. Cosa che invece sentiva molto in Italia. Recentemente mi ha confessato che se fosse rimasto in Italia avrebbe probabilmente smesso di giocare a basket. Quando sbaglia gli altri genitori lo rincuorano e se non tira perché ha paura dagli spalti lo incoraggiano. E gioca in due squadre e l’atteggiamento è lo stesso. Lo stesso l’altro figlio. Mi piace la struttura di supporto decentralizzata. Qua è una necessità perché l’Australia è molto grande (ma l’Italia è molto lunga!). Ma gli Istituti Statali funzionano molto bene. Assumono staff qualificato ed in base al curriculum. Chiaramente qualche favoritismo può avvenire ma non è la regola e se uno poi non va bene alla fine lo cambiano. Ci sono programmi di sviluppo nazionali a cui tutti (Università) possono partecipare e se le proposte di ricerca sono buone vengono finanziate. Hanno cambiato modello dell’AIS e adesso fa da supporto e identifica aree di interesse per le quali apre call a cui tutti possono partecipare e se approvate vengono finanziate. Un sistema trasparente. Ecco, porterei da noi la trasparenza.

L’Italia secondo me è un paese con un potenziale enorme in varie aree schiacciato dal sistema. Lo sport sopravvive ed i risultati arrivano grazie ad una base che lavora con passione e spesso gratis. Riconoscere questo lavoro per molti sarebbe già un modo di vedere ripagare i propri sforzi.

Gli spunti presi dal Web, anche quando sono validi, diventano inutili quando gli allenatori attuano un semplice “copia ed incolla” senza contestualizzarli. La nostra strategia è quella di non inserire mai più di un 10/15 % dei mezzi di allenamento rispetto alla pianificazione dell’anno precedente. Questo ci dà lo possibilità di verificare la loro efficacia. Riteniamo che un allenatore bravo possa fare diventare utile “quasi” tutti gli esercizi (anche quelli che sembrano stupidi), ma che non esista alcun mezzo capace di far diventare un allenatore bravo. Tu che ne pensi?

Questo è esattamente quello che suggerisco sempre. Parti dal tuo allenamento che hai provato e usi da anni ed implementa/prova piccole variazioni. Non innamorarti del maiale come dico sempre. Non stravolgere tutto perché qualcuno ti ha convinto. O se lo fai analizza bene le nuove proposte. Come hai detto non ho mai visto trasformare un asino in purosangue con una strategia innovativa di allenamento. Questo è il problema che abbiamo. Ci innamoriamo o lasciamo convincere da un nuovo allenamento o esercizio e abbandoniamo quello che facevamo prima. Non sto dicendo che non bisogna cambiare. Ci sono ambiti dove gli approcci tradizionali vanno contro quello che dal punto di vista scientifico sono 20 anni sappiamo essere meglio. Senza entrare nello sport specifico per non creare polemiche. In quei casi cambiamenti importanti sarebbero necessari, ma si parla di cambiamenti di sistema. Un bravo allenatore adatta e plasma il proprio lavoro in base alle risposte dell’atleta. La programmazione è una linea guida e non è scritta sulla roccia.

Poi un altro problema è l’inseguire le metodiche di chi allena campioni. Intanto occorre chiedersi sempre se un allenatore ha in mano un campione perché bravo o perché le situazioni l’hanno portato lì. Ti faccio un esempio personale. Io ho fatto parte di staff di allenatori tanti anni fa che seguiva maratoneti keniani. Alcuni hanno vinto. Pensi che io alla mia prima esperienza fossi già un genio da avere da subito allenato nel modo giusto i maratoneti in questione. O forse è che alla fine se prendi uno che chiude le maratone in 2h10min e non fai cavolate magari te ne vince una con 2 e 12 e sembri un fenomeno? Bravo io o bravo lui? Difficile capirlo. Fossi stato più furbo sarei potuto andare a fare convegni e dire quello che volevo facendomi scudo dei risultati. Se noti difficilmente uso atleti che ho allenato per promuovermi. Lo faccio solo quando qualcuno che in realtà ha meno esperienza di me mi accusa, perché in difficoltà su alcuni argomenti, di essere un topo da laboratorio perché mi occupo di ricerca. Questo succede ma non certamente nel mio caso. Nella scherma ho preparato 2 atleti che hanno vinto l’oro a squadre alle Olimpiadi e la nazionale Svizzera è stata prima del ranking per vari anni quando ero il preparatore (ed un 4 posto alle ultime Olimpiadi individuali più varie vittorie in coppa del mondo). Ho seguito una snowboarder dai suoi esordi fino alle Olimpiadi di Torino uscita agli ottavi ma migliore italiana. Credo di non aver fatto danni ma non so i se hanno vinto e sono arrivati ad una Olimpiade grazie o nonostante me. Ma se parlo di allenamento un po' di esperienza penso di averla ed è quello che ha differenziato da sempre la mia carriera come ricercatore rispetto ad altri.

Abbiamo parlato di bufale. Ce ne è una in particolare che ci vuoi segnalare, in modo da mettere in guardia anche noi e tutti gli allenatori de ilCoach?

Ti posso accennare ad una sorta di bufala nata dal mondo della ricerca di cui posso fare il nome perché la prima volta che ho contestato questo metodo l’ho fatto di persona ad un congresso e quindi non mi nascondo dietro ai social o un articolo. Sto contestando parecchio l’acute:chronic workload ratio di Tim Gabbett che è una metrica basata sulle misure di carico che lui propone insieme ad altre per prevenire o ridurre il rischio di infortuni. E’ basata su studi di bassa qualità e “massaggiati” per tirare fuori quello che vuole. Prevenire infortuni attraverso la modulazione del carico non è possibile, o meglio dal punto di vista scientifico con ci sono indicatori validi a questo scopo se non il buon senso degli allenatori che di certo non raddoppiano il carico da una settimana all’altra. Come ho scritto recentemente gli allenatori non sono idioti e spesso sono più furbi dei ricercatori se si tratta di allenare qualcuno.

Parlando di atletica più che bufala posso dire la mia su delle estremizzazioni che trovo inutili e pericolose. Ad esempio la questione dell’uso dei pesi o no. Intanto usare i pesi dice tutto e dice nulla. Dipende come si usano. Oggi ci sono due “fedi”. Qualcuno usa il proprio atleta che è magari un campione per dire che non servono. Per ognuno di questi esempi si possono portare altri esempi di atleti vincenti che li usano. Così non si va da nessuna parte e trovo onestamente certe polemiche non un contribuito costruttivo al settore. Se prendo come riferimento un allenatore che stimo come Carlo Buzzichelli, lui i pesi li usa. Ma non va in giro a dire che chi non li usa non capisce nulla. E non li usa sempre nello stesso modo. E se ci fosse una situazione in cui pensasse che non può o non serve usarli sono sicuro non li userebbe. Si adatta all’atleta come dovrebbe fare ogni bravo allenatore.

Le bufale arrivano quando uno vuole forzare e generalizzare troppo la propria esperienza o quando cerca due minuti di popolarità.

redazione
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