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Le 7 leggi dell’allenamento della forza

Published by redazione
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1/4 squat eseguito al Centro di Preparazione Olimpica di Cuba sotto l'attento sguardo del Prof. Carlo Buzzichelli

Una corretta applicazione delle leggi e dei principi dell’allenamento assicura una migliore organizzazione, con una probabilità inferiore di errori.

Le 7 leggi dell’allenamento della forza dovrebbero essere la base di qualsiasi programma d’allenamento della forza.

Una casa è forte quanto le sue fondamenta.

Le 7 leggi dell’allenamento della forza collaborano alla costruzione di un atleta forte, flessibile, e stabile, che può sostenere lo stress indotto dell’attività sportiva.

Questo risultato passa attravers:

  • il rinforzo dei tendini, dei legamenti e delle ossa dell’atleta 
  • il rafforzamento del “core” 
  • l’adattamento progressivo alle azioni specifiche dello sport.

Validità delle 7 leggi dell'allenamento della forza

Le leggi sono valide per tutti gli atleti, indipendentemente dalle caratteristiche fisiologiche dello sport.

I principi dell’allenamento favoriscono un incremento continuo della forza e delle altre abilità attraverso l’adattamento del programma alle specifiche dello sport e, soprattutto, alle caratteristiche dell’atleta. Le leggi e i principi funzionano in maniera sinergica al fine di sviluppare il miglior programma di forza.

Questi principi, assieme alla periodizzazione della forza e all’integrazione dell’allenamento della forza con l’allenamento dei sistemi energetici, sono essenziali per ottenere un programma d’allenamento di successo.

Le 7 regole dell’Allenamento della Forza

Qualsiasi programma d’allenamento della forza dovrebbe essere progettato partendo dalle 7 leggi dell’allenamento, in modo da assicurare sia l’adattamento positivo, sia la prevenzione degli infortuni.

Queste leggi sono particolarmente importanti per gli atleti giovani o, in genere, per i principianti, poiché assicurano la costruzione di una buona base sulla quale costruire un allenamento più specifico nelle tappe successive dello sviluppo atletico.

1) Legge numero uno: Sviluppare la Mobilità Articolare

Per lo sviluppo simultaneo della forza e della mobilità, gran parte degli esercizi per il potenziamento muscolare dovrebbero essere eseguiti utilizzando un range di movimento completo per tutte le articolazioni principali, specialmente le caviglie, le ginocchia, e le anche.

Una buona mobilità articolare previene distorsioni e dolori alle articolazioni, così come gli infortuni da sovraccarico. In particolare, dovrebbe essere posta particolare attenzione alla mobilità della caviglia, la flessione dorsale e plantare, cioè il portare il dorso del piede verso la tibia o allontanarlo da essa, da parte di tutti gli atleti, specie i principianti.

Questi dovrebbero sviluppare la flessibilità della caviglia nella fase di prepubertà e pubertà, in modo che nel periodo successivo sia sufficiente mantenerla.

Fig. 1 Stretching statico del quadricipite. Immagine realizzata nella palestra Sistemha di Saronno

Come migliorare la flessibilità

Due ottimi metodi per migliorare la flessibilità sono lo stretching passivo e lo stretching PNF.

Nel caso di presenza di aderenze miofasciali (la miofascia rappresenta il 41% della resistenza passiva al movimento di una articolazione [Johns e Wright 1962]) dei metodi efficaci sono rappresentati dall’utilizzo di foam roller, dagli esercizi di Kelly Starrett con gli elastici per il rilascio della miofascia, e dalle sedute di rilascio miofasciale con un operatore certificato.

 

Il rilascio miofasciale incrementa la flessibilità muscolare e la mobilità articolare senza influenzare negativamente la prestazione (Sullivan et al. 2013, McDonald et al. 2013, Healey et al. 2014).

Infatti, per raggiungere la massima prestazione, la miofascia deve essere rilasciata prima di una gara, specie negli sport di velocità e potenza.

2) Legge numero due: Rafforzare i Tendini e i legamenti

La forza muscolare migliora più rapidamente rispetto alla forza dei tendini e dei legamenti.

Un uso errato o improprio del principio di specificità o la mancanza di una pianificazione a lungo termine, inducono molti allenatori e preparatori a trascurare il rafforzamento di tendini e legamenti, nonostante la maggior parte degli infortuni muscolari avvengano, non nel ventre del muscolo, ma alla giunzione miotendinea.

Tendini e legamenti vanno invece rafforzati attraverso un adattamento anatomico adeguato, in assenza del quale un allenamento intenso potrebbe provocare danni.

L’allenamento dei tendini e dei legamenti provoca un aumento del diametro degli stessi, elevandone la capacità di resistenza alla tensione e allo strappo.

I legamenti, che sono costituiti dai filamenti proteici di collagene, hanno l’importante ruolo di collegare le estremità delle ossa che formano un’articolazione. Le fibre di collagene sono distribuite con diverse angolazioni per resistere agli incrementi di carico.

La forza di un legamento dipende direttamente dalla sua sezione trasversa.

Un legamento si può rompere a causa di un eccesso di forza su di una articolazione, specie ad angolazioni estreme o con rotazioni non fisiologiche.

Durante una normale attività, i legamenti si allungano facilmente per permettere il movimento articolare.

Quando invece il carico sull’articolazione incrementa, come in una attività ad alta intensità o di gara, lo stesso accade alla stiffness dei legamenti, al fine di evitare una eccessiva mobilità dell’articolazione.

Se il carico è eccessivo, il legamento si può danneggiare.

Il miglior modo di prevenire questo tipo di infortunio è quello di preparare gradualmente il corpo a sopportare questo tipo di stress.

Per adattare i tendini e i legamenti a sopportare grossi carichi, gli atleti devono incrementare progressivamente il carico e alternarlo a periodi di scarico, così come avviene nella fase di adattamento anatomico. La progressività del carico migliora le caratteristiche viscoelastiche dei legamenti e infine permette di sopportare le grandi forze in trazione generate durante i movimenti dinamici, l’allenamento per la forza massima, e la pliometria.

I tendini, d’altra parte, uniscono i muscoli alle ossa e trasmettono la forza dai muscoli alle ossa in modo da permettere il movimento.

I tendini immagazzinano anche l’energia elastica, una caratteristica essenziale per i movimenti balistici, come quelli usati nella pliometria.

Più forte è il tendine, maggiore è la sua capacità di immagazzinare energia elastica.

Quindi, dei tendini forti sono una caratteristica dei velocisti e dei saltatori.

Si possono allenare tendini e legamenti?

Sia i legamenti, sia i tendini sono allenabili.

La loro composizione e le loro proprietà strutturali cambiano in risposta all’allenamento, diventando più spessi, più forti e con più stiffness, fino al 20 percento in più (Frank 1996).

I legamenti e i tendini sono anche capaci di ripararsi, anche se talvolta non possono tornare allo stato pre-infortunio.

Tenendo a mente tutto ciò, l’esercizio, in particolare quello eseguito durante la fase di adattamento anatomico, può essere considerato un metodo di prevenzione degli infortuni.

Se il rafforzamento di legamenti e tendini è trascurato, i primi non assicurano più l’integrità delle articolazioni e i secondi non garantiscano una trasmissione ottimale della forza.

Ad esempio, coloro che usano gli steroidi incrementano la forza del ventre muscolare, a scapito delle proprietà dei tendini e dei legamenti (Woo et al. 1994).

Più in generale, l’aumento della forza senza il contemporaneo rafforzamento dei legamenti e dei tendini può portare all’infortunio di questi, come succede spesso ai giocatori di football americano.

3) Legge numero tre: Sviluppo della Forza del “Core”

La forza espressa con gli arti è limitata dalla forza del “core”.

Un tronco debole non costituisce un supporto adeguato per esprimere la massima forza degli arti.

Un programma di allenamento della forza a lungo termine, dovrebbe innanzitutto sviluppare i muscoli del tronco, prima di dedicarsi a braccia e gambe.

I muscoli del tronco sono attivati in particolar modo durante le attività come salti e balzi.

Essi stabilizzano il corpo e fungono da collegamento tra gambe e braccia.

Muscoli del tronco deboli non possono svolgere questi ruoli essenziali, limitando, così, la prestazione dell’atleta.

La maggior parte di questi gruppi muscolari è costituita da fibre a contrazione lenta, dato il loro ruolo nel mantenimento della postura e la loro continua attivazione durante le azioni degli arti.

Essi si contraggono continuamente, ma non necessariamente in maniera dinamica, per creare una solida base di supporto per le azioni degli altri gruppi muscolari.

Molte persone, inclusi alcuni atleti, si lamentano di problemi alla bassa schiena, ma nonostante questo non fanno molto per risolverli. La migliore protezione contro il mal di schiena sono muscoli della schiena e degli addominali forti. Questa zona del corpo non dovrebbe essere trascurata dai preparatori o dagli atleti.

Nonostante ciò, l’allenamento per i muscoli del tronco, o “core training”, rappresenta una nuova moda i cui “nuovi esercizi” non sono tutti utili o privi di rischi. In questa sezione diamo la nostra opinione a riguardo del “core training”.

Riteniamo, infatti, che un eccesso di enfasi sull’allenamento del “core” (anche nelle sue forme “ibride” di “forza propriocettiva”) non dia alcun risultato in termini di prestazione, ma, di fatto, distragga l’atleta dall’eseguire tutta una serie di esercizi fondamentali ai fini della prestazione sportiva: quelli che lavorano i gruppi motori principali.

 

Il concetto di core

Muscoli addominali.

I muscoli della schiena e gli addominali circondano la parte centrale del corpo come una stretta e potente struttura di supporto, composta da fasci muscolari che si diramano in diverse direzioni.

Se gli addominali sono deboli, il bacino va in antiversione, causando una iperlordosi della spina lombare.

Il retto addominale, ad esempio, è disposto verticalmente ed ha un ruolo anti-estensorio della spina, al fine di mantenere la postura: ad esempio, quando l’anca si flette con le gambe fissate, come succede durante un sit-up.

Gli addominali obliqui interni ed esterni aiutano il retto addominale a flettere il tronco in avanti (flessione della spina – piano sagittale) e ad eseguire tutti i movimenti di rotazione (piano trasverso) e di flessione laterale (piano frontale).

In molti sport questi muscoli aiutano l’atleta a prevenire una caduta, e sono fondamentali in molte azioni della lotta, del pugilato e delle arti marziali. I muscoli addominali anteriori e laterali eseguono movimenti del tronco precisi e delicati.

Tali muscoli si sviluppano verticalmente, diagonalmente e orrizontalmente.

Poiché molti atleti hanno uno sviluppo inferiore dei muscoli addominali rispetto ai muscoli della schiena, è consigliato sia un allenamento generale, sia un allenamento specifico per questi distretti muscolari. Per lavorare con precisione sui muscoli addominali occorrono esercizi che li coinvolgano senza interessare il movimento delle anche.

Gli esercizi che flettono le anche, infatti, sono eseguiti dall’ileopsoas (un potente flessore dell’anca), e solo in maniera minore dagli addominali (che in questi casi lavorano perlopiù isometricamente per prevenire l’estensione della spina sul piano sagittale).

Gli esercizi più comuni per gli addominali sono i sit-up, e la migliore posizione per eseguirli è stare sdraiati con i polpacci appoggiati su di una panca, in questo modo le anche sono già flesse e gli addominali possono essere isolati.

Muscoli dorsali.

I muscoli dorsali, inclusi i muscoli profondi ai lati della spina, sono responsabili di vari movimenti, come l’estensione e la rotazione del tronco.

Il tronco agisce da tramite e da supporto per la maggior parte dei movimenti effettuati dagli arti.

La colonna vertebrale svolge, inoltre, un ruolo protettivo essenziale del midollo spinale, e assorbe gli urti durante l’atterraggio e lo stacco dal suolo. Uno sforzo eccessivo o irregolare del rachide, o un movimento improvviso da una posizione scorretta, potrebbero causare problemi nella zona lombare.

I dolori lombari negli atleti sono in genere dovuti a un eccesso, nel tempo, di movimenti scorretti.

La pressione esercitata sui dischi intervertebrali varia a seconda della posizione del corpo rispetto al carico da sollevare. Per esempio, la pressione aumenta in posizione seduta o, in piedi, se si estende la spina durante un curl con i bicipiti o una tirata al mento.

La posizione seduta provoca una pressione maggiore nei dischi intervertebrali, mentre la pressione più bassa si ha quando il corpo è sdraiato, prono o supino (come nelle distensioni su panca piana, o nelle tirate su panca piana).

In molti esercizi che impegnano i muscoli dorsali, gli addominali si contraggono isometricamente, stabilizzando il corpo.

I flessori dell’anca.

L’ileopsoas è un muscolo essenziale per la flessione delle anche e per la corsa. Sebbene non sia di grosse dimensioni, è il flessore dell’anca più potente (gli altri sono il retto femorale, il sartorio, e il tensore della fascia lata), ed è il responsabile dell’innalzamento del ginocchio nella corsa e nel salto.

Dei flessori dell’anca ben sviluppati sono necessari per gli sport eseguiti sul suolo o sul ghiaccio.

Questi importanti muscoli possono essere allenati con esercizi di sollevamento delle gambe con sovraccarico, sia a ginocchio flesso, sia a ginocchio steso.

4) Legge numero quattro: sviluppo degli stabilizzatori.

I muscoli motori primari lavorano con maggior efficacia se coadiuvati da forti muscoli stabilizzatori o fissatori.

Gli stabilizzatori si contraggono soprattutto isometricamente per stabilizzare un’articolazione, in modo da permettere il corretto movimento di un’altra parte del corpo.

La spalla viene stabilizzata, ad esempio, durante la flessione del gomito, mentre durante il lancio di una palla, sono gli addominali a fungere da fissatori.

Nel canottaggio sono invece i muscoli del tronco ad agire da stabilizzatori, trasmettendo la potenza delle gambe alle braccia, che a loro volta esercitano forza sull’acqua attraverso il remo.

Uno stabilizzatore debole, quindi, inibisce la capacità di contrarre i muscoli motori primari.

Stabilizzatori non adeguatamente sviluppati potrebbero dunque ostacolare l’attività dei muscoli motori primari.

Sottoposti a sforzo protratto nel tempo, gli stabilizzatori si contraggono involontariamente, frenando l’azione dei muscoli motori primari, con conseguente diminuzione della prestazione atletica.

Questa condizione è frequente fra i giocatori di pallavolo che si infortunano a seguito della debolezza e dello squilibrio muscolare dei muscoli della spalla (Kugler et al. 1996).

I muscoli sovraspinato e sottospinato ruotano la spalla.

Il modo più semplice ed efficace per rinforzare questi muscoli è l’extrarotazione della spalla con i manubri. La resistenza esercitata dal carico rinforza questi due muscoli.

Nell’anca, sono i muscoli piriforme e gluteo medio a permettere l’extra rotazione.

Per rinforzare questi muscoli, l’atleta deve assumere la posizione eretta, a ginocchia dritte, e sollevare una gamba lateralmente, con questa collegata a un cavo tramite una cavigliera.

Come allenare gli stabilizzatori

Gli stabilizzatori si contraggono isometricamente anche per immobilizzare una parte di un arto e permettere il movimento dell’altra. Inoltre, gli stabilizzatori sono utili per monitorare l’interazione delle ossa lunghe nelle articolazioni e recepire un potenziale infortunio derivante da una tecnica scorretta, da un’applicazione della forza non adeguata, o da spasmi causati dall’affaticamento.

Se si verifica una di queste condizioni, gli stabilizzatori frenano l’attività dei muscoli motori primari per evitarne stiramenti o strappi.

Per questi motivi i muscoli stabilizzatori giocano un ruolo fondamentale nella prestazione atletica.

L'allenamento propriocettivo

Diversi studi hanno mostrato che l’allenamento con le pedane propriocettive aiuta davvero a ripristinare la stabilità di una caviglia instabile o infortunata (Caraffa et al. 1996, Westers et al. 1996, Willem set al. 2002).

Alcuni studi mostrano che l’allenamento propriocettivo può diminuire l’incidenza degli infortuni al ginocchio (Caraffa et al. 1996), mentre altri studi negano l’efficacia di tale allenamento nella prevenzione degli infortuni (Soderman et al. 2000).

Una recente review, in particolare, ha trovato diversi errori nella strutturazione degli studi sull’allenamento propriocettivo (Thacker et al. 2003).

La teoria, quindi, è che se l’allenamento con le pedane propriocettive porta a una maggiore stabilità, migliorando la propriocezione e la forza dei muscoli stabilizzatori di una struttura instabile, esso incrementerà ulteriormente la forza ed eviterà gli infortuni se impiegato su di una struttura già stabile.

Ciò deve essere provato, però, e in ogni caso la vera domanda è “quanto tempo deve essere dedicato agli esercizi per gli stabilizzatori?”.

Ultimamente alcuni preparatori atletici hanno esagerato nell’allenamento degli stabilizzatori, perlopiù attraverso l’utilizzo dell’allenamento su superfici instabili.

Infatti l’allenamento su superfici instabili causa una maggiore attivazione di unità motorie dovuta alla co-contrazione (contrazione simultanea) dei muscoli agonisti e antagonisti, al fine di stabilizzare un’articolazione; una eccessiva co-contrazione non porta agli adattamenti necessari a un atleta di sport di potenza e velocità, che ha bisogno di antagonisti “silenti” (cioè inattivi) durante l’applicazione della forza da parte dei muscoli agonisti.

Inoltre, negli ultimi 10 anni, i preparatori atletici che hanno completamente evitato l’utilizzo delle pedane propriocettive o, più in generale, dell’allenamento propriocettivo, in sport di squadra come il calcio e la pallavolo, non hanno riportato alcun incremento degli infortuni a ginocchia e caviglie.

L’allenamento con le pedane propriocettive o con la Swiss Ball può comunque essere utile durante la prima parte della preparazione generale (la fase di adattamento anatomico).

Gli esercizi unilaterali sono certamente la scelta migliore per migliorare la stabilità articolare mentre si allenano i gruppi motori principali. In ogni caso, se viene effettuato l’allenamento propriocettivo durante la fase di adattamento anatomico, le pedane propriocettive o le Swiss Ball devono essere messe da parte nella fase successiva per dedicare più tempo all’allenamento con metodi che migliorino nello specifico il potenziale motorio dell’atleta e promuovano l’incremento della forza, velocità e resistenza sport-specifiche.

Dopotutto, anche se questi esercizi funzionano nel migliorare la propriocezione dell’atleta, la loro caratteristica di velocità bassa o moderata non proteggerà mai le articolazioni dai movimenti veloci e potenti di uno sport (Ashton-Miller et al. 2001). Preparare i muscoli stabilizzatori al movimento è importante; nello specifico, prepararli ai movimenti tipici dell’attività sportiva con una velocità, potenza o resistenza adeguate allo sport è vitale per la prestazione e l’integrità dell’atleta.

La Tabella 1 mostra un programma “split” di tre settimane per il macrociclo di adattamento anatomico di un giovane calciatore. Risulta evidente il vasto impiego di esercizi unilaterali, il volume di lavoro uguale tra agonisti e antagonisti, il tempo sotto tensione per serie che cade nella zona della capacità lattacida (da 48 a 80 secondi per serie), l’incremento progressivo del carico, e la durata breve del macrociclo, caratteristica tipica per gli atleti giovani o Master. I punti seguenti descrivono ciascuna colonna della figura:

  • Serie – Ciascun numero indica il numero di serie per esercizio eseguite in una data settimana. Per esempio, 2-3-2 significa che la prima settimana sono eseguite due serie, la seconda tre serie, e la terza due serie.
  • Ripetizioni - Ciascun numero indica il numero di ripetizioni per serie eseguite in una data settimana. Per esempio, 20-15-12 significa che la prima settimana sono eseguite 20 ripetizioni per serie, la seconda 15, e la terza 12.
  • Tempo di recupero - Ciascun numero indica il tempo di recupero tra le serie di uno stesso esercizio in una data settimana. Per esempio, 1-1-1.5 significa che la prima e la seconda settimana il tempo di recupero tra le serie di uno stesso esercizio è di un minuto, mentre nella terza è di un minuto e mezzo.
  • Tempo – Il primo numero indica la durata in secondi della fase eccentrica, il secondo numero indica i secondi di pausa tra la fase eccentrica e la fase concentrica, e il terzo numero indica la durata in secondi della fase concentrica (la “X” significa “esplosiva”).
  • Carico – Queste colonne dovrebbero essere usate per scrivere il carico impiegato di settimana in settimana per ogni serie di ciascun esercizio.

[su_table]

Esercizi Serie Rip Tempo di Recupero (MIn.) TEMpo (SEC.) Carico
1° settimana 2° settimana 3° settimana
Allenamento A
Squat a una gamba 2-3-2* 20-15-12* 1-1-1.5* 3-0-1**      
Leg curl a una gamba 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-X      
Stacco a una gamba 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1      
Estensioni dell’anca in quadrupedia 2-3-2 20-15-15 1-1-1.5 3-0-1      
Abductor machine 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1      
Adductor machine 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1      
Polpacci in piedi 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 2-2-1      
Crunch con peso 2-3-2 20-15-12 1 3-0-3      
Allenamento B
Spinte con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1      
Rematore con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1      
Lento con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1      
Bicipiti con manubri 2-3-2 20-15-12 1-1-1.5 3-0-1      
Plank frontale e laterale 2-2-1 30-30-45 (sec.) 0.5 Isometrico      

* Per ogni trio di numeri in questa colonna, il primo numero si riferisce alla prima settimana, il secondo numero si riferisce alla seconda settimana e il terzo numero si riferisce alla terza settimana.

** Per ogni trio di numeri in questa colonna, il primo numero si riferisce alla durata in secondi della fase eccentrica, il  secondo numero si riferisce alla pausa tra eccentrica e concentrica, e il terzo numero si riferisce alla durata della fase concentrica (una “X” significa “esplosiva”).

Tabella 1 Macrociclo di Adattamento Anatomico da tre settimane, utilizzando una split routine, per un calciatore di settore giovanile. [1]

[/su_table]

ALLENAMENTO PROPRIOCETTIVO CON LA PALLA

Come ogni cosa nell’allenamento sport-specifico, la palla propriocettiva (nota anche come palla svizzera o stability ball) non è nuova. Comparve negli anni ‘60 ed è divenuta molto popolare, specialmente nel mondo della riabilitazione. Dagli anni ‘90 in poi è diventata popolare prima nel fitness e poi anche in ambito sportivo. La sua popolarità nel campo del fitness è comprensibile, data la varietà e la frenesia che caratterizzano quell’ambiente.

 

Swiss ball da Wikimedia Commons

Molti esercizi eseguiti sulla palla propriocettiva permettono di allenare la forza e la flessibilità per la parte superiore e inferiore del corpo, e, naturalmente, di rinforzare il core. Tuttavia alcuni prepratori sovrastimano i benefici di questi esercizi, asserendo che i miglioramenti propriocettivi e dell’equilibrio si traducono in miglioramenti nella performance atletica. In realtà, l’equilibrio non è un fattore limitante per la performance; questo, pertanto, non è annoverabile nella stessa categoria delle abilità biomotorie quali la velocità, la forza e la resistenza. Infatti, il corpo si adatterà all’ambiente instabile dello sport praticato attraverso lo stimolo fornito dalla pratica dello sport stesso, così come attraverso la pratica di azioni tecniche e tattiche legate allo sport. Alcuni esercizi possono essere eseguiti sulla palla, ma dovrebbero limitarsi alla fase di adattamento anatomico o alle fasi di transizione, quando l’adattamento generale ha la priorità sull’adattamento fisiologico specifico.

Oltre a questi dettagli, gli atleti e gli allenatori dovrebbero essere ben consapevoli che utilizzare la palla propriocettiva nell’allenamento della forza massima può limitarne i benefici. Infatti, la palla limita la quantità di peso che l’atleta può sollevare perché una parte dell’impegno nervoso è diretta a stabilizzare il corpo, così come le articolazioni coinvolte nel movimento, riducendo così l’attivazione delle unità motorie a contrazione veloce dei muscoli motori primari. Perciò, gli unici esercizi consigliati con la palla propriocettiva sono quelli mirati al rinforzo dei muscoli addominali, che permettono all’atleta di allungare completamente quest’ultimi prima della fase concentrica dell’esercizio. Gli altri gruppi muscolari, invece, possono essere allenati con altri mezzi.

La palla propriocettiva può essere utilizzata nel modo e al momento debiti. L’irradiazione spiega come tutti i muscoli siano coinvolti in un movimento per supportarsi l’un l’altro. Il corpo umano è estremamente plastico e ha una capacità di adattamento straordinaria per i metodi di allenamento classici. La cosa più importante nello sport, infine, è il fatto che l’atleta ha una prestazione migliore quando i suoi adattamenti funzionali sono specifici, in questo modo migliora anche la propria stabilità in modo spontaneo, senza l’uso di attrezzi specifici.


5) Legge numero cinque: allenare i movimenti, non i singoli muscoli.

Lo scopo dell’allenamento della forza per uno sport è utilizzare i sovraccarichi per allenare i muscoli motori primari nei movimenti che avvengono durante il gesto specifico.

Gli atleti dovrebbero evitare di allenare i muscoli in isolamento, come avviene ad esempio nel bodybuilding.

Dai suoi albori il bodybuilding ha promosso l’allenamento dei muscoli in isolamento, un concetto che si è mostrato efficace per generazioni.

Gli esercizi di isolamento, però, non si applicano alla preparazione atletica, poiché i gesti atletici sono nella quasi totalità movimenti multiarticolari eseguiti in un certo ordine, formando quella che viene chiamata “catena cinetica”.

Un salto per afferrare una palla, ad esempio, impiega la seguente catena cinetica per la parte inferiore del corpo, al fine di applicare la forza a terra necessaria a sollevare il corpo:

  • estensione delle anche
  • estensione delle ginocchia
  • estensione delle caviglie

Questa potente sequenza, tipica di molti gesti atletici, è chiamata “tripla estensione”.

Angoli specifici

In accordo con il principio di specificità, specialmente nella fase di conversione (a forza specifica), la posizione del corpo e gli angoli degli arti dovrebbero essere simili a quelli richiesti nei movimenti tecnici specifici.

Quando un atleta si allena in un movimento specifico, i muscoli coinvolti sono integrati e rafforzati in modo da eseguire l’azione con maggiore potenza.

Per questo motivo gli atleti non dovrebbero far ricorso soltanto all’allenamento con i pesi, ma ampliare i mezzi e i metodi di allenamento includendo le palle mediche, gli elastici (per gli sport acquatici o per adattare la resistenza nell’allenamento della potenza con il bilanciere), i pesi del getto del peso, e i plinti e gli ostacoli per la pliometria.

Gli esercizi eseguiti con il supporto di tali attrezzi permettono all’atleta di potenziare le proprie abilità specifiche.

Gli esercizi multiarticolari come lo squat, lo stacco, la panca piana, il lento avanti, le trazioni, le alzate olimpiche, così come i lanci e i salti, sono stati impiegati nell’allenamento sportivo da quando gli atleti dell’atletica leggera hanno iniziato a usarli nei primi anni ’30, prima dei Giochi Olimpici del 1936.

La maggior parte degli atleti segue ancora questa tradizione.

Tali esercizi sono fondamentali per l’efficacia e l’efficienza dell’allenamento della forza.

Alcuni esercizi di isolamento (chiamati anche “accessori”) possono però essere impiegati per migliorare la trofia di alcuni gruppi muscolari il cui sviluppo è rimasto indietro, per incrementare l’apporto di sangue (necessario per la salute dei tendini) e per sostenere il contenuto proteico dei muscoli motori primari durante i periodi in cui si utilizzano ripetizioni molto basse.

In ultima analisi, non bisogna chiedersi “Dov’è l’esercizio per i bicipiti all’interno di questo programma”. Piuttosto è necessario domandarsi se la flessione del gomito è parte del gesto specifico richiesto nello sport in esame e, se così è, con quale altro movimento è essa integrata.

6) Legge numero sei: non concentratevi su ciò che è nuovo, ma su ciò che è necessario.

Negli ultimi anni il mercato dello sport e del fitness in nord America è stato invaso da molti prodotti che si suppone servano a migliorare la prestazione atletica.

Spesso, però, non è così.

Infatti, la conoscenza della biomeccanica e della fisiologia dell’esercizio rivela che molti prodotti promossi a tale scopo possono avere l’effetto contrario.

Due metodi che hanno catturato l’attenzione di allenatori, preparatori e atleti sono l’allenamento sulle superfici instabili e l’overspeed.

L’allenamento sulle superfici instabili è sicuro perché non prevede né permette l’utilizzo di grossi carichi, ma è anche abusato nel campo dell’allenamento sportivo. L’overspeed, invece, assieme ad altri attrezzi utilizzati al fine di migliorare velocità e potenza, altera la tecnica di corsa dell’atleta e ne diminuisce il tasso d’espressione della forza.

In molti casi, il mezzo promozionale prediletto per queste nuove idee è il seminario. Il relatore spesso mostra nuovi esercizi e promette miglioramenti miracolosi.

Non molto spesso, però, il relatore affronta il tema degli adattamenti neuromuscolari, che sono il nocciolo del miglioramento della prestazione atletica, e che dovrebbero essere il fondamento di ogni programma d’allenamento sport-specifico.

Certamente, è importante conoscere un vasto numero di esercizi, però un esercizio è essenziale solo se lavora i muscoli motori primari utilizzati nei gesti atletici specifici, né più, né meno.

Non fa alcuna differenza, ad esempio, se un atleta fa le distensioni su di una panca o su una Swiss Ball.

La velocità di esecuzione

È molto più importante che la fase concentrica sia eseguita con la maggiore esplosività possibile.

All’inizio del movimento vengono reclutate le unità motorie a contrazione veloce per superare l’inerzia del carico del bilanciere.

Come l’atleta continua a spingere il bilanciere verso l’alto, dovrebbe cercare di generare la maggiore accelerazione possibile.

In questo modo la frequenza di scarica incrementa.

Nel caso di un esercizio balistico, la massima velocità viene raggiunta proprio alla fine dell’azione, prima del rilascio dell’attrezzo o della proiezione del corpo dell’atleta.

Allo stesso modo, se è necessario raggiungere un alto livello di forza degli arti inferiori, un atleta dovrebbe fare squat, squat e squat.

L’idea è creare il più alto livello di forza e adattamento: in altre parole, fare ciò che è necessario. Incrementare la varietà dell’allenamento utilizzando esercizi diversi può andar bene, purché i muscoli motori primari lavorino in modo specifico.

7) Legge numero sette: periodizzare la forza nel lungo termine.

Anziché concentrarsi nei guadagni immediati di forza massimale, i preparatori atletici dovrebbero pianificare la progressione dell’allenamento della forza in modo da massimizzare il potenziale motorio dell’atleta a lungo termine.

Questo si traduce nel non iniziare da subito a usare alti carichi in esercizi tecnicamente complessi non pienamente acquisiti.

Come scrivo nel capitolo 2 del mio libro Periodizzazione dell'Allenamento Sportivo, la base per il miglioramento della forza generale nel lungo termine dovrebbe essere costituita dall’allenamento della coordinazione intermuscolare: un lavoro tecnico ed esplosivo con pesi da leggeri a submassimali, mai ad esaurimento, pianificato al termine della fase di adattamento anatomico o di quella per l’ipertrofia, se presente.

Diversamente, l’allenamento sulla coordinazione intramuscolare, pesi da submassimali a massimali, possibilmente non a esaurimento, a meno che non si desiderino dei guadagni in forza assoluta, aiuta a raggiungere il picco di forza massimale ma non può essere impiegato per lunghi periodi (non più di sei settimane alla volta).

La forza specifica, che sia la potenza, la potenza resistente o la resistenza muscolare, può essere massimizzata soltanto sulla base di una precedente fase di forza massimale ben pianificata. Questo concetto si applica sia al piano annuale, sia al piano pluriennale.

La Tabella 2 mostra un esempio di sequenza di macrocicli di coordinazione intermuscolare e coordinazione intramuscolare per l’incremento della forza massima all’interno del piano annuale; questi macrocicli sono posti prima dei macrocicli di forza specifica (potenza).

La Tabella 3 mostra la progressione del lavoro di forza di un atleta principiante per un periodo di quattro anni.

 

Tabella 2 Progressione dell’allenamento della forza nel piano annual per uno sport individuale, per il quale la forza specifica è la potenza. [2]
Legenda: AA = adattamento anatomico, MxS (coordinazione intermuscolare) = forza massima (con carichi dal 70% all’80% dell’1RM), MxS (coordinazione intramuscolare) = forza massima (con carichi dall’85% al 90% dell’1RM), P = potenza, 3+1 = struttura del macrociclo con 3 settimane di carico e 1 settimana di scarico, 2+1 = struttura del macrociclo con 2 settimane di carico e 1 settimana di scarico.

 

 

Tabella 3. Distribuzione e progressione dell’allenamento della forza in un piano pluriennale. [3]
Legenda: AA = adattamento anatomico, MxS = forza massima (coordinazione intermuscolare con carichi dal 70% all’80% dell’1RM o coordinazione intramuscolare con carichi dall’80% al 90% dell’1RM)

.

 

Bibliografia:

Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell'Allenamento Sportivo. 2° Edizione Italiana, Calzetti & Mariucci, 2017

Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell'allenamento sportivo. Programmi per lo sviluppo della forza in 35 sports. 3a Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa.

[1] Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell’Allenamento Sportivo – 3° Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa

[2] Cfr. Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell’Allenamento Sportivo – 3° Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa

[3] Bompa T., Buzzichelli C., Periodizzazione dell’Allenamento Sportivo – 3° Edizione, Calzetti & Mariucci, 2016, visione pre-stampa

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