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Un ranking dei tecnici di atletica leggera

Published by redazione
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Qualche tempo fa chiacchieravo in chat con una collega allenatrice molto brava e facevamo il punto sugli alti e bassi delle stagioni 2019 delle ragazze con cui abbiamo lavorato.

Se avessimo dovuto restare in tema social e rappresentare con un emoticon il nostro grado di soddisfazione rispetto ai risultati ottenuti, avremmo assegnato alla mia stagione una faccina che sorride ed alla sua la faccina neutra; quella con la bocca dritta che di fatto dovrebbe voler dire né bene né male, ma più spesso viene interpretata come un meno ruotato di 90 gradi.

Se invece avessimo deciso di utilizzare un criterio un poco più oggettivo, mettendo su una bilancia risultati, prestazioni e medaglie ottenute, l’ago avrebbe ruotato indiscutibilmente dalla sua parte, smentendo i fatti quello che, con assoluta buona fede per entrambi, ci suggeriva la pancia.

Per gli atleti il 2020 sarebbe dovuto essere il primo anno in cui il ranking avrebbe avuto un peso sostanziale, potendo determinare o meno la partecipazione ai Giochi Olimpici.

Purtroppo le cose sono precipitate in maniera tragica ed imprevedibile.

Ad ogni modo, aspettando tempi migliori, ilranking come nuovo criterio accessorio di partecipazione ai grandi eventi, se prenderà definitivamente piede, rivoluzionerà il modo di intendere la prestazione in atletica.

Perché dall’Olimpiade in giù, potrebbe diventare un parametro che influirà  sulla possibilità di partecipare ai meeting , forse più di quanto non sia accaduto sino ad oggi grazie ad un season best realizzato su una delle famose piste e pedane “magiche”.

Il ranking potrebbe essere una rivoluzione per quei ragazzi e ragazze bravi e bravini, visto che la classifica World Athletics (la vecchia IAAF)  non si preoccupa di tutto quanto succede sotto gli 850/880 punti tabellari ( e se abbiamo a che fare con i senior riflettiamoci).

https://www.worldathletics.org/world-rankings/introduction

Se il ranking sta muovendo i primi passi per gli atleti, figuriamoci quanto sarebbe lontano e difficile ipotizzarne uno per i loro tecnici.

In molti sport, anche quelli che hanno già  un proprio ranking  ufficiale, la classifica di valore per giocatori e i loro tecnici è arbitrariamente ma molto pragmaticamente basata su quanto un atleta o un allenatore riesce a guadagnare.

Sappiamo bene che molto spesso il campo  contraddice queste valutazioni meramente economiche, sempre influenzate da molteplici fattori  extrasportivi, ma il concetto, seppure brutale, ha una sua logica: sei bravo nella misura in cui riesci a farti pagare.

In Italia un ragionamento di questo tipo fatto per l’atletica leggera per molti farebbe soltanto sorridere.

O piangere.

O lavorare per migliorare un po’ le cose.

Fare i tecnici di atletica in Italia  è visto come un semplice passatempo.

Lavorare con un minimo di criterio, con il rispetto per se stessi, per cosa si fa e per chi si allena  è quasi visto come spocchia e indice di presunzione. Altrove invece esistono albi di riferimento consultabili ed alcune federazioni illuminate, come quella Britannica, riportano addirittura il nome del tecnico  scritto accanto a quello dell’atleta direttamente sulle graduatorie.

Da noi manca quasi sempre il professionismo e talvolta anche la professionalità e pensare ad una classifica che stagione per stagione metta in ordine chi fra noi è stato più bravo è quasi utopico.

Magari ogni tanto si conferisce un premio all’allenatore dell’atleta più forte, ma sempre secondo una  logica simile a quella che in una palestra vuole che il personal trainer più bravo sia quello più grosso.

Ora, nessuno mette in discussione che allenare sia un’arte eccetera eccetera, ma, per gioco o per amore, si può provare a fare una classifica di ogni cosa: persino  indicando con un numero il quoziente in grado di dare una misura dell’intelligenza.

Quindi si può provare se non a costruire una classifica, per lo meno ad indicare quelli che sarebbero i parametri utili a giudicare il nostro rendimento di tecnici.

Un insieme di criteri che non pretende di essere insindacabile, né perfetto né definitivo.

Un gioco giusto per provare a capire quali siano i criteri su cui possiamo autovalutarci.

Nel calcio si dice che l’allenatore non fa mai goal. Ed è vero. Ma lì  c’è un sistema molto selettivo che impone ai tecnici delle obbligazioni di risultato,  per le quali ogni tecnico è messo continuamente in discussione.

In atletica invece spesso non si capisce nemmeno quali siano gli obbiettivi su cui valutare le performance di un allenatore.

Certe società e certi settori tecnici passano pigramente lustri su lustri senza mai “produrre” un atleta di rilievo. O si può anche dire, se solo si alza un po’ l’asticella dell’aspettativa rispetto allo zero, senza mai produrre un atleta punto e basta.

D’altro canto altre realtà più feconde  si rendono ben presto conto che il “fare bene” non offre quasi mai vantaggi.

E’ un sistema piatto, schizofrenico e autoreferenziale, che genera solo frustrazione e delirio.

Noi invece crediamo che anche i tecnici debbano avere degli obbiettivi misurabili e dei criteri di valutazione e di autovalutazione.

Piccola nota a margine.

A febbraio ai campionati indoor di categoria un’allieva che seguo e che ha dimostrato da  sempre ottime attitudini, ha perso per pochi centesimi il titolino dei 400. Questo per merito di una avversaria brava e caparbia, ma anche a seguito di una condotta di gara che definita benevolmente sarebbe stata da considerare molto generosa, ma per dire le cose come stanno era da catalogare come scriteriata. In quell’occasione ha mancato per un centesimo il minimo degli oramai cancellati Campionati Europei U18.

In atletica un risultato di questo tipo generalmente viene considerato come una medaglietta che entra nel piccolo palmares di un tecnico di club. Ma in un contesto come è  quello del calcio di una prima categoria o di una promozione, una situazione di questo tipo non di rado si traduce in un esonero.

Quali parametri prenderemo in considerazione per il nostro fanta-coach?

Quindi, immaginandoci di pensare a qualcosa di alternativo a questo piattume, abbiamo pensato cosa ci inventeremmo e a quali parametri guarderemmo se dovessimo  provare noi a costruire un fanta-coach, se non per premiare, almeno per individuare, un po’ per gioco, gli allenatori più bravi.

Con una premessa e un’avvertenza.

Dell’allenatore in questo caso vogliamo valutare soltanto l’aspetto tecnico, “atletico” verrebbe da dire: le capacità prestazionali.

Nell’ambito giovanile, della promozione sportiva e non solo, l’allenatore spesso svolge anche una funzione educativa e sociale molto importante, che richiede qualità umane forse ancora prima  che tecniche. Sono aspetti  imprescindibili  ma quasi impossibili da misurare e che in questo gioco non abbiamo voluto considerare.

In questo caso invece per il nostro gioco noi costruiremmo un punteggio che tenga conto del:

1) Livello di formazione

Un patentino da tecnico non vuole dire molto, ma seppur pochissimo, è un po’ più di niente. La formazione federale non può essere organica e per molti motivi non può che mettere delle toppe in un contesto fondato sulla improvvisazione, il fai da te e l’arrangiarsi.  Ma ha pur sempre un valore, rappresentando più che altro un’intenzione ed un indizio di buona volontà.

Una laurea in scienze motorie è sicuramente un valore aggiunto e dovrebbe dare parecchi punti extra, specie quando è sostenuta da una solida frequentazione della pista. Altri percorsi formativi  nell’ambito della medicina, della fisioterapia tornano sicuramente utili come male non fa un qualsiasi altro  titolo di studio generico.

Una laurea in  ingegneria e delle buone competenze matematiche e  statistiche da un  lato, come delle capacità comunicative, pedagogiche e relazionali dall’altro, sono sicuramente un plus e, se sono certificate dal famoso “pezzo di carta” è quasi sempre meglio.

Per tutto quanto sopracitato l’allenatore meriterebbe un bonus di punti e ovviamente, trattandosi di un fanta-coach, assegneremmo tanti punti bonus ai nostri corsi.

O forse no: i tecnici bravi hanno sempre riempito le nostre aule giusto per imparare e migliorarsi, senza preoccuparsi di ricevere in cambio nessun patentino, credito formativo o diploma di ogni sorta.

Perché in fondo, qualsiasi siano i vostri titoli, se vi stanno picchiando e le state prendendo di santa ragione ricordatevi quanto diceva a proposito di arti marziali il vecchio maestro Miyagi: “la cintura nera serve solo a sorreggere i pantaloni”.

Formazione
Patentino da tecnico Istruttore 5 punti Allenatore 2 livello 10 punti Allenatore terzo livello o superiore 20 punti
Titolo di studio Laurea Generica 5 punti Laurea “funzionale” es. Medicina-Ingegneria- Pedagogia 10 punti Laurea in Scienze Motorie o Isef 25 punti
Patentini altre federazioni Istruttore 2,5 punti Allenatore 2 livello 5 punti Allenatore terzo livello o superiore 10 punti

 

2) Competenze linguistiche

Se un tecnico “fa carriera” dovrà pensare di muoversi e assistere anche a competizioni fuori della sua provincia. Conoscere le lingue potrebbe essere un vantaggio.

Competenze linguistiche Inglese eccellente 5 punti Altre lingue 2,5 punti

 

3) Un passato da atleta di più o meno alto livello.

A nostro parere i trascorsi agonistici di un atleta di livello sono di volta in volta, a seconda delle situazioni, sopravvalutati o sottovalutati.

Nell’ambito dei corsi federali di qualificazione per i tecnici un passato da atleta di livello internazionale, (se non ricordo male come minimo convocato in Coppa Europa) viene liquidato con miseri 0,5 crediti formativi, gli stessi che si ottengono magari sonnecchiando per un paio di ore ad un corso di aggiornamento di livello base. Altri corsi di questo tipo, di una giornata o due, arrivano a valere 1 o 1,5 crediti.

Una carriera da atleta di un certo livello, che porta a vestire la maglia azzurra non è di certo sinonimo di grande preparazione e di capacità di allenare.

Ognuno degli allenatori che legge questo articolo può certamente passare in rassegna la schiera dei propri atleti presenti e passati per capire che non sempre le doti tecniche più spiccate sono quelle che portano ad essere i migliori anche come allenatori.

Però bisogna anche considerare che le esperienze condensate in una carriera fatta di anni di allenamenti quotidiani, di raduni magari in centri di preparazione olimpica, rapporti con altri tecnici, trasferte internazionali,  crea un vantaggio di conoscenza pratica che difficilmente si può condensare in un week end o due di preparazione.

In maniera molto salomonica riteniamo che “alle vecchie glorie” acquisite da atleta si possano attribuire gli stessi punti che verrebbero attribuiti con i medesimi conseguimenti raggiunti dai propri atleti nella nuova carriera di tecnico.

A nostro parere essere stato un ottimo atleta non fa certo male: se sei stato un azzurro un qualche bonus noi te lo riconosciamo: al saper fare (o l’aver saputo fare) per lo meno in uno degli ambiti delle discipline dell’atletica leggera, deve essere certamente riconosciuto un valore.

Ma se la federazione è piuttosto avara nel considerare il valore di quanto fatto da un ex atleta buono o molto buono, questo concetto è ribaltato al cospetto di un oro Olimpico o mondiale. La situazione in questo caso si ribalta e “The winner takes it all” come cantavano gli Abba. Il vincitore prende tutto, responsabilità comprese.

Lo capiamo anche noi che un oro Olimpico o mondiale sia “per sempre” e riteniamo che spesso sia una scelta logica dare un ruolo agli ex super campioni, sfruttandone l’esperienza e soprattutto l’immagine.

Ma avere vinto come atleta non significa automaticamente aver le competenze per poter diventare un direttore tecnico o un responsabile di settore di una nazionale. Non automaticamente precisiamo. Questi passaggi insomma, quando non si è mai stati nel ruolo di allenatori, in certi casi ci sembrano piuttosto affrettati. Specie se accanto al grande nome che, lo ripetiamo, male non fa, non esiste una valida struttura scientifica che fornisca il proprio supporto.

Passato da Atleta
Atleta di livello nazionale 5 punti Atleta di livello internazionale 10 punti Medaglia Olimpica o mondiale 25 punti

 

4) Gli atleti con cui si lavora (e con cui si ha lavorato).

Se il cuore del ranking degli atleti resta comunque la prestazione, il cosiddetto punteggio tabellare, riteniamo che anche per gli allenatori, la grossa fetta della torta sia rappresentata dalla “scuderia” di atleti che si gestisce. Del resto se si può essere atleti e non avere un allenatore, non si può essere allenatori (attivi) senza avere atleti da allenare.

Questo ovviamente non significa che l’allenatore con gli atleti più forti sia quello più capace o con più “talento”. Significa però che il suo lavoro in quel preciso momento è meglio valorizzato dagli atleti con cui lavora.

Le graduatorie stesse degli atleti non esprimono in maniera direttamente lineare il loro potenziale.

Però, a nostro parere, gli allenatori “forti” sono, in larga misura, quelli che gestiscono gli atleti più forti.

Tra i luoghi comuni sui tecnici di atletica leggera uno abbastanza diffuso infatti è quello che vuole che il tecnico bravo non sia  quello che “ha l’atleta forte”, ma quello in grado di far migliorare l’atleta scarso con cui lavora.

E’ Falso. Il Milan di Sacchi era pieno di campioni,  Toivonen era seduto al volante di una Delta S4, la Mclaren di Senna era un missile e Valentino Rossi non ha mai vinto una gara in sella ad una bicicletta. Se vogliamo continuare con l’atletica Vittori allenava Mennea, Glen Mills Bolt, Tamberi Tamberi e Tortu Tortu.

L’atleta fa il tecnico quanto il tecnico fa l’atleta,  probabilmente più la prima cosa che la seconda. Se un allenatore vuole avere successo deve scegliere bene i propri atleti allo stesso modo per cui un atleta deve scegliere bene i propri allenatori.

Se un allenatore pensa di essere riconosciuto come bravo perché accompagna un atleta maschio durante il percorso che lo porta da 11”50 sui 100 a 11” si sbaglia di grosso.

Le probabilità di essere riconosciuto come tecnico perché si fa migliorare un atleta “scarso” (magari un ottimo ragazzo in un percorso pieno di soddisfazioni umane più che tecniche), sono le stesse di diventare un CEO per la Coca Cola, perché si è stati bravi a gestire i conti di un’edicola.

La visione porto l’atleta X da A a B e quindi sono bravo ha una sua logica, ma nasce da una visione parziale.

Innanzitutto i miglioramenti dal basso livello, specie se giovanile, sono molto più facilmente ottenibili, auspicabili e prevedibili.

Gli ultimi gradini nella scala di qualificazione di un atleta verso l’alto livello invece sono molto meno scontati e più difficili da percorre.

Oltretutto credo che si possa iniziare a parlare di allenamento solo una volta superata la decina di ore di allenamento settimanali. Entro quella soglia l’allenatore svolge un ruolo  più di insegnante e risulta molto più difficile quantificare il proprio apporto in termine di sviluppo cosiddetto condizionale. L’elemento della periodizzazione al di sotto di queste soglie sparisce, dal momento che lo stile di vita dell’atleta ( es utilizzo dei mezzi per muoversi, tipo di attività lavorativa o scolastica, lezioni di educazione fisica, attività sportiva spontanea, gestione del sonno e del tempo libero, ) risulta avere un ruolo preponderante rispetto a quello rappresentato dall’attività organizzata al campo.

Quando l’intensità e il volume di lavoro sono bassi, il margine di errore è molto più alto. Se si propongono 3 o 4 allenamenti settimanali e sono ammessi molti più sbagli di quando ad esempio questi diventano 10, situazione in cui l’ordine dei lavori, la loro intensità, l’alternanza degli stimoli e dei sistemi energetici utilizzati, i rapporti tra  lavoro e recupero si giocano entro limiti molto più stretti.

L’altro aspetto di cui non si tiene mai conto è che lo scambio di competenze allenatore/atleta non è unidirezionale.

L’allenatore non solo insegna, ma impara parecchio anche dall’atleta con cui lavora.

Se l’atleta è di buon livello si imparerà molto su quelle che sono le esigenze di un atleta di quella determinata classe di qualificazione.

Insomma, giusto per capirci, se si diventa molto bravi a guidare un motorino si acquisiscono di certo competenze e capacità, ma probabilmente non quelle che servono per guidare una motogp.

Sapere di essere più veloci sul Garelli di  Valentino Rossi e Marquez  può essere una soddisfazione, ma resta poco utile.

(A meno di non trovare un team disposto a fare grandi investimenti su un asso del motorino…)

Questo non significa ovviamente svilire le qualità dei ragazzi con cui si lavora.

Al contrario.

Qualunque sia il livello degli atleti con cui si lavora, qualsiasi siano i loro risultati, il tecnico deve domandarsi: sono io a farli andare così piano?

Ed anzi, per quanto il tecnico sia bravo, deve sempre ragionare in  questo modo: se un atleta ottiene un risultato, vuol dire che se fosse stato allenato soltanto un po’ meglio, sarebbe stato in grado di ottenerne uno anche migliore.

Bonus prestazione atleta allenato
Fino ad 850 punti tabellari. 0,1 punti per ogni punto

Es= 800 punti x 0,1= 80 punti

Tra 850 e 950 punti tabellari.

0,11 punti per ogni punto.

Es= 900 punti x 0,11= 99 punti

Tra 950 e 1000 punti tabellari.

0,12 punti per ogni punto.

Es = 1000 punti x 0,12= 120 punti

Tra 1000 e 1050 punti tabellari.

0,13 punti per ogni punto.

Es 1010x 0,13= 131,3 punti

Oltre 1050 punti tabellari.

0,14 per ogni punto.

Es 1100x 0,14=154 punti

 

5) Dove, quando e quanto?

Sul mio profilo di Facebook mi trovate in alcune foto in posa con Micheal Johnson, Karolina Kluft, Colin Jackson e Yarisley Silva: non li ho mai allenati.

Le foto ricordo non conferiscono alcuna autorevolezza anzi, il selfie rispolverato da dirigenti e tecnici con il campione di turno non appena combina qualcosa di buono, spesso sa persino un po’ di patetico.

In atletica tra gli allenatori spesso si verifica quella che nelle arti marziali potrebbe essere chiamata la sindrome di Bruce Lee, che vede proliferare schiere di maestri che si proclamano allievi diretti dell’inventore del Jet Kun do…ma che magari però sono nati successivamente alla morte dell’attore marzialista campione di incassi.

Una foto, una seduta di allenamento, una settimana o un mese a mio parere non sono sufficienti per fregiarsi della qualifica di “Allenatore di”.

Riteniamo che per quel ruolo o comunque per acquisire qualche punto di bonus nel gioco del ranking che stiamo ipotizzando, serva almeno un macrociclo di preparazione seguito ad un periodo di gare.

Come minimo una stagione indoor insomma.

Questo è un periodo minimo. Riteniamo infatti  che anche se l’allenatore  in un lasso di tempo così breve avrà insegnato poco nulla al campione in questione, per lo meno qualche cosa avrà imparato. Più lungo sarà il periodo di lavoro insieme, maggiore dovrebbe essere il bonus.

Una volta chiuso il rapporto invece il tesoretto di punti dovrebbe andare via via a ridursi.

Ma lentamente.

Infatti crediamo che un tecnico non rincoglionisca automaticamente nel momento in cui perde il “campione” ma che resti di fatto lo stesso tecnico.

Ovviamente nel fare tutte queste considerazioni, la situazione di lavoro tipo che ci siamo immaginati è quella classica, ideale e preferibile, che vede l’allenatore e l’atleta a lavorare insieme nello stesso campo con una certa frequenza, preferibilmente quotidiana.

L’allenamento a distanza vale?

Al giorno d’oggi esistono comunque delle possibilità di attuare  soddisfacentemente delle collaborazioni anche a distanza, tramite l’invio di programmi, le videochiamate, l’analisi video ed altri più sofisticati mezzi per monitorare i parametri significativi delle abilità biomotorie con cui si sta lavorando.

Se un lavoro di questo tipo è fatto con serietà e metodicità, pensiamo che possa anche funzionare, specie in talune specialità e se si collabora con atleti già evoluti.

Un aspetto che distingue un allenatore online da un allenatore sul campo sono comuque sempre pioggia, sole, vento ed intemperie in generale. Pertanto vi tagliamo la metà dei punti prestazione dell’atleta che seguite

Molto diverso è inviare un programma una volta al mese perché questo semplicemente non è allenare. In questo caso non vi spetta alcun punto.

Per prenderseli tutti interi comunque per noi ci vogliono 4 o più anni di lavoro fatti al campo. Altrimenti il premio va decurtato di ¼ per ogni anno mancante.

Esempio atleta da 1000 punti tabellari. Bonus prestazione 120 punti
Atleta seguito al campo quotidianamente (minimo 4x week) Seguito da 4 o più stagioni.

120×1= 120punti

Seguito da 3 stagioni

120×0,75= 90 punti

Seguito da 2 stagioni

120×0,50= 60 punti

Seguito da minimo 6 mesi a 1anno

120×025= 30 punti

Visto per caso al campo, foto ricordo, aver fatto stretching sullo stesso ostacolo siepe= 0 punti

 

Per gli atleti a distanza invece…

 

Atleta seguito online o saltuariamente (invio programmi e controlli periodici Seguito da 4 o più stagioni.

120×0,5= 60

punti

Seguito da 3 stagioni

120×0,375= 45

punti

Seguito da 2 stagioni

120×0,25= 30 punti

Seguito da minimo 6 mesi a 1anno

120×0,125= 15 punti

Visto per caso al campo, foto ricordo, aver fatto stretching sullo stesso ostacolo siepe= 0 punti

6) Ancora una volta: quando?

Nel ranking degli atleti gli “Honours” ossia i titoli, ossia le vittorie hanno un peso, come lo hanno i piazzamenti.

I titoli più premianti nel  ranking iaaf per gli atleti sono le manifestazioni assolute. Giusto per fare un esempio il “placing score” assegnato agli Europei U20 di Bòras e a quelli U23 di Gavle erano rispettivamente quelli di manifestazione “D” e “C”. A titolo di confronto gli assoluti di Bressanone sono stati considerati una manifestazione di livello “B”. Il livello intrinseco delle prestazioni dimostra che la scelta era appropriata per quanto riguarda gli atleti e a maggior ragione lo sarebbe per gli allenatori.

Nella intricata ed irrisolvibile questione della spartizione dei meriti tra atleti e tecnici un punto abbastanza condivisibile è quello che più l’atleta è giovane tanto più l’ago debba pendere a favore del talento di questo che piuttosto che delle capacità del suo allenatore.

Nel nostro fanta-coach tanti punti bonus per i titoli e i piazzamenti assoluti ma pochini per quelli giovanili.

 

N.B.

In questo caso non stiamo valutando il valore di un atleta, ma la capacità di un coach di allenarlo. Pertanto i Bonus per i titoli conseguiti dagli atleti devono rimanere nell’ambito della categoria dell’atleta cha si allena. Un atleta di ottimo talento può facilmente competere e vincere anche nelle categorie superiori. Questo fatto però a nostro parere certifica molto di più le qualità o la precocità dell’atleta, piuttosto che il valore del suo tecnico.

 

7) Quanti?

 

Alcune delle considerazioni fatte sopra portano ad un problema spinoso.

Quanti tecnici può avere un atleta solo? La risposta per noi è anche più di uno.

Collaborare, crearsi uno staff, saper lavorare insieme non può costituire un malus. Anzi.

L’era dei tuttologi è finita da tempo.

Qualsiasi sia il numero delle persone che collabora nello sviluppo di un  atleta è comunque importante che i ruoli siano ben chiari e definiti.

Se poi dobbiamo proprio individuare chi sia l’allenatore in mezzo ad un gruppo di persone che lavorano insieme, ci rifacciamo a questa espressione anglosassone che rende bene l’idea: l’allenatore è quello che “is driving the bus”.

Oltre a tutto lo staff crediamo che, in determinate condizioni, tecniche o logistiche che siano,  un paio di persone possano dividersi le responsabilità di allenatore.

In questo caso non riterremmo di dover dividere il bonus del nostro fanta-coach. Anzi. Coordinarsi è difficile e poi nel ranking degli allenatori non ci interessa tanto chi “ha più merito” in una prestazione, ma piuttosto chi diventa più bravo e, il confronto continuo, è sempre una ottima opportunità di crescita

Se questo è il lato buono della medaglia, quello cattivo è quello a cui in una certa misura abbiamo già accennato nel punto “dove, quando e quanto”.

Solitamente più l’atleta è di spicco, più proliferano quelli che si autoproclamano come suoi allenatori.

Lo ripetiamo: se avete fatto una foto con lui, se gli avete preso due tempi, se l’avete visto o condotto in uno o due raduni di una mezza giornata…non siete gli allenatori del tal campione.

Se invece invece prendete degli atleti già fatti e finiti che fanno altre discipline e per 2 mesi all’anno li distogliete dai loro obbiettivi non siete allenatori: siete dei rompiballe.

 

8) Ancora: quanti?

 

Chiarito quanti allenatori può avere un atleta, resta da considerare quanti atleti servono ad un allenatore per essere bravo.

Tendenzialmente ne dovrebbe bastare uno anche se ad alcuni allenatori, specie casi eclatanti del passato, viene spesso rimproverato poca duttilità e scarsi risultati rispetto ad esperienze che non riguardassero il  singolo grande campione.

Occorre dire che se gli standard sono un record mondiale o un oro Olimpico…risulta molto difficile che questi siano statisticamente replicabili.

Lasciando perdere i super campionissimi noi pensiamo che per gli atleti normali valga comunque lo stesso principio dei gusti nei gelati al biscotto: “Two is megl che uan”.

Per gli atleti, a seconda delle specialità vengono prese in considerazione 2 o 3 o 5 prestazioni.

Crediamo che al nostro fanta-coach un allenatore allo stesso modo possa giocarsi dai 2 ai 5 atleti. Troviamo un numero di mezzo e diamo un massimo di 3.

 

9) L’atleta ha cambiato tecnico ma non ha migliorato è peggiorato, si è infortunato, ha smesso, se ne sono perse le tracce eccetera eccetera.

 

A noi non interessa. La vita sportiva di un atleta dopo la separazione da noi non è affare nostro.

I suoi successi o gli insuccessi postumi al periodo della nostra collaborazione non devono riguardarci e non sono il metro delle nostre capacità di tecnico.

Quindi occupiamoci e concentriamoci sugli atleti con cui stiamo lavorando e non sprechiamo energie a vedere cosa succede a chi ci ha ( o abbiamo) abbandonato.

Quindi nessun bonus e nessun malus per le vicende di un atleta che non fa più parte del nostro gruppo.

Se mai un punto in più “a chi capisce, quando il gioco finisce e non si butta giù”.

Così, per semplicità, abbiamo pensato di sommare ognuno dei fattori che, a nostro sindacabilissimo giudizio, sono quelli che concorrono a determinare il livello di un tecnico.

In realtà in molti casi più che all’addizione si dovrebbe pensare alla moltiplicazione e considerare dei coefficienti in questo senso.

Per farci capire, per esempio, riteniamo che un allenatore molto formato e scientificamente preparato ricaverà molto di più dalle esperienze fatte con atleti di ottimo livello. Al contrario, meno si sa e si conosce, meno ci si potrà avvantaggiare anche quando si ha la fortuna di sperimentare esperienze significative.

Calcolatore punteggio Fantacoach

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